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Felice Fontana

Felice Fontana nacque a Pomarolo, in Vallagarina, e fu battezzato il 3 giugno 1730 con il nome di Gasparo Ferdinando Felice. Era il terzo dei dodici figli di Pietro – giureconsulto e notaio imperiale – e di Elena Caterina Ienetti, e pochi anni dopo la nascita si trasferì a Villa Lagarina insieme alla famiglia. Iniziò la sua formazione a Rovereto, alla scuola di Girolamo Tartarotti e Giambattista Graser, ma tra il 1748 e il 1749 si spostò a Verona e, in seguito, proseguì gli studi al Collegio dei Nobili di Parma, sotto la guida del matematico Iacopo Belgrado. Fu poi a Padova, dove conobbe l’anatomista Giambattista Morgagni, e forse al Collegio dei Gesuiti di Mantova. Al suo rientro a Rovereto, Fontana continuò a collaborare con Tartarotti e nel 1753 fu eletto membro dell’Accademia degli Agiati, fondata solo tre anni prima. Con lo pseudonimo di Celino, prese parte ai lavori accademici e presentò alcune memorie su vari temi scientifici. Nel 1755 ereditò il patrimonio del fratello sacerdote Giovanni Pietro e, per rispettare le clausole del testamento, vestì l’abito religioso e divenne abate, pur senza essere mai ordinato sacerdote.

In questi anni, Fontana si rivolse con crescente convinzione agli studi scientifici e iniziò a cercare sbocchi al di fuori dell’ambiente trentino. L’occasione si presentò quando gli fu affidato il ruolo di tutore di Melchiorre Partini, giovane discendente di una nobile famiglia roveretana. Insieme al suo allievo, Fontana si trasferì a Bologna, dove poté approfondire i suoi studi in campo fisico, matematico, anatomico e fisiologico presso l’Accademia dell’Istituto Marsiliano delle Scienze. Conobbe inoltre Leopoldo Marc’Antonio Caldani, con il quale strinse una duratura amicizia, e lo affiancò nelle ricerche sperimentali sulla dottrina dell’irritabilità formulata dal fisiologo svizzero Albrecht von Haller. Fu questo l’oggetto della prima opera di Fontana, poi stampata in francese nel 1760 dallo stesso Haller. A Bologna, lo scienziato trentino entrò in contatto anche con altri studiosi; tra loro, Giuseppe Veratti e la moglie Laura Bassi, insieme ai quali discusse del problema dei moti dell’iride che, qualche anno più tardi, sarebbe diventato l’argomento di un breve trattato.

Dall’estate all’autunno del 1758, Fontana soggiornò con Partini a Firenze, dove conobbe il botanico Saverio Manetti e l’astronomo Tommaso Perelli. Si recò poi a Pisa, città nella quale si trattenne per un anno, stringendo i suoi rapporti con Perelli, con i matematici Paolo Frisi e Pietro Ferroni e con il fisico Carlo Guadagni. Nel novembre 1759 frequentò il Collegio Nazareno di Roma, insieme al fratello Gregorio, ma già nell’estate successiva tornò in Toscana e per cinque anni si stabilì a Pisa, pur con frequenti spostamenti a Firenze. In questo periodo continuò le ricerche già intraprese a Bologna sui moti dell’iride, ma si dedicò anche a osservazioni microscopiche sui globuli rossi, gli infusori e su temi di patologia vegetale. Frutto di questo lavoro, rivolto alle applicazioni sociali della filosofia sperimentale, furono alcune opere stampate tra il 1765 e il 1767.

Il 10 ottobre 1765 gli fu affidato l’insegnamento di logica (ad institutiones dialecticas) all’Università di Pisa e nel novembre 1766 fu nominato ordinario di fisica, fisico granducale e sovrintendente al Gabinetto di fisica sperimentale di palazzo Pitti. L’anno successivo, Fontana pubblicò due importanti scritti, dedicati rispettivamente a una sistemazione delle ricerche sull’irritabilità (De irritabilitatis legibus) e allo studio del veleno della vipera (Ricerche fisiche sopra il veleno della vipera), argomento sul quale sarebbe poi tornato con la sua opera più celebre. Fino alla metà degli anni Settanta, si dedicò intensamente alla fondazione e all’allestimento del Reale Museo di fisica e storia naturale, voluto dal granduca Pietro Leopoldo e inaugurato a palazzo Torrigiani nel febbraio 1775. Fontana lo immaginò secondo criteri moderni, come luogo aperto al pubblico ma anche come istituzione in cui svolgere una vera ricerca scientifica, con l’ausilio della strumentazione storica e di quella fatta realizzare appositamente. In parallelo, continuò a lavorare su temi di fisiologia e chimica pneumatica – con un indirizzo flogistico – e a condurre osservazioni sugli animali microscopici.

Dopo l’apertura del Museo, Fontana fu autorizzato dal granduca a intraprendere insieme a Fabbroni un viaggio all’estero. Il progetto, coltivato già da qualche tempo, avrebbe permesso tra l’altro di procurare nuovi oggetti per completare le raccolte museali. Dopo una tappa a Mantova e a Rovereto, il viaggio proseguì per Milano, Pavia, Torino e Ginevra fino a Parigi, dove i due arrivarono nel gennaio 1776 e restarono fino al luglio 1778. Nella capitale francese, Fontana visitò collezioni, conobbe i maggiori scienziati raccolti intorno all’Académie des sciences e si dedicò a ricerche di chimica dei gas e tossicologia. In seguito si trasferì a Londra e, fino alla fine del 1779, frequentò la Royal Society e acquistò strumentazione scientifica e oggetti di storia naturale.

Al rientro a Firenze, nel gennaio 1780, Fontana aveva consolidato le sue relazioni europee e si era messo al corrente delle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Anche grazie alle ricerche portate avanti durante il viaggio, nel 1781 poté dare alle stampe l’opera che è considerata il suo capolavoro: il Traité sur le vénin de la vipère. Pubblicato dapprima in francese, il trattato conobbe una notevole circolazione internazionale e fu successivamente tradotto in italiano, inglese e tedesco. Riprese le redini del Museo fiorentino, Fontana ne ampliò le attività: inaugurò la specola astronomica, diede impulso alla realizzazione di cere anatomiche e arricchì le collezioni. Gli stretti rapporti con la corte gli valsero l’incarico di istitutore dei figli del granduca, ma il difficile carattere dello scienziato portò a un’incrinatura della stima di Pietro Leopoldo e delle relazioni tra Fontana e l’ambiente scientifico toscano, compreso Fabbroni. Anche per questi motivi, la sua proposta di creare una vera accademia scientifica presso il Museo non fu accolta dal granduca.

Mentre Fontana si dedicava largamente alle cere anatomiche, Fabbroni acquisì un ruolo crescente nella gestione delle collezioni finché, nel novembre 1789, il sovrano cristallizzò la situazione affidandogli tutte le responsabilità gestionali.  La decisione, de facto, emarginò Fontana da un ruolo operativo nell’istituzione che aveva creato e lo spinse a dedicarsi alla realizzazione di modelli anatomici in legno. La crisi del suo rapporto con la corte si tradusse nel sostegno agli ideali repubblicani e al regime francese instaurato nel 1799. Al rientro degli austriaci e di Leopoldo III, Fontana fu condannato all’esilio, ma con il successivo ritorno dei francesi sperò di recuperare centralità nell’organizzazione della vita scientifica fiorentina. In effetti, il governo triumvirale gli affidò la presidenza della Nuova Accademia del Cimento, istituita presso il Museo ma mai realmente attivata.

Negli ultimi anni della sua vita, Fontana pubblicò alcuni scritti su temi disparati, tra i quali la parassitologia, la fisiologia vegetale e l’embriologia. Morì a Firenze per apoplessia il 10 marzo 1805 e fu sepolto in Santa Croce.

A testimonianza dell’immenso lavoro dello scienziato trentino resta una vastissima produzione documentale, fra cui figura anche il suo archivio personale, attualmente conservato presso la Biblioteca Rosminiana di Rovereto.