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Contesti – Il progetto di Museo

Ottenuta nel 1765 la cattedra all’Università di Pisa, Fontana riuscì gradualmente a introdursi negli ambienti della corte lorenese. I contatti con Pietro Leopoldo si trasformarono in un rapporto personale, arricchito da dialoghi su temi naturalistici, e negli ultimi mesi del 1766 il granduca nominò Fontana ordinario di fisica a Pisa, fisico granducale e sovrintendente al gabinetto di fisica. L’abate trentino vinceva così la concorrenza di Giovanni Targioni Tozzetti e del mondo erudito toscano ed era riconosciuto da Pietro Leopoldo come suo uomo di fiducia.

Gli oggetti scientifici ereditati dai Medici e conservati a palazzo Pitti erano del tutto insufficienti per un gabinetto che aveva sì un intento celebrativo, ma soprattutto ambizioni sperimentali e rivolte all’utilità pubblica. Occorreva dunque iniziare quasi da zero la costruzione di una collezione, raccogliendo la strumentazione esistente e facendone fabbricare di nuova. Gli oltre duecento pezzi medicei conservati alla Galleria degli Uffizi – tra i quali astrolabi, orologi solari e notturni, bussole, strumenti di misurazione, sfere armillari e mappamondi – furono consegnati a Fontana e riuniti a quelli dell’Accademia del Cimento presenti a palazzo Pitti. Altri strumenti furono ordinati negli Stati italiani e all’estero, oppure costruiti in loco. La loro collezione doveva essere affiancata da quelle di oggetti naturalistici e cere anatomiche. A tal fine, Fontana acquisì per il museo in costruzione le produzioni naturali conservate alla Galleria e catalogate da Targioni Tozzetti ma, grazie al sostegno finanziario del granduca, riuscì ad accaparrarsi anche collezioni private.

All’inizio degli anni Settanta, mentre il riordino e la classificazione degli oggetti procedevano senza sosta, si delineava un modello di museo liberamente fruibile da parte dei cittadini e – negli auspici di Fontana – affiancato da un’Accademia delle Scienze. La sede della nuova istituzione venne fissata in palazzo Torrigiani, che fu sottoposto a un’apposita ristrutturazione. Si definì anche l’organizzazione interna del Museo, fortemente piramidale, con al vertice Fontana e il granduca. Al direttore furono però affiancati alcuni giovani collaboratori, tra i quali Giovanni Fabbroni, futuro vicedirettore, Attilio Zuccagni, responsabile del giardino, e Giuseppe Pigri, addetto alla sezione di matematica e fisica.

Il Regio Museo fu ufficialmente inaugurato il 22 febbraio 1775 e si proponeva come un istituto ben diverso dalle tradizionali collezioni private. In sintonia con gli indirizzi illuministici, infatti, si trattava di una raccolta pubblica e accessibile a tutti gli interessati, che mostrava ai visitatori i vari rami del sapere scientifico e sollecitava l’autoapprendimento. Senza fratture tra teoria e pratica, il Museo doveva essere impegnato anche in programmi sperimentali per il bene collettivo e nella valorizzazione del sapere tecnico, come quello relativo alla costruzione di macchine e strumenti.

Due testi redatti nel periodo dell’inaugurazione consentono di farsi un’idea delle raccolte e della loro disposizione. Il primo è il Saggio del Real Gabinetto di Fisica e di Storia naturale di Firenze, pubblicato su ispirazione di Fontana, che celebra il mecenatismo di Pietro Leopoldo ed elenca gli strumenti realizzati per il Regio Museo. Il secondo è l’inventario redatto da Pigri nel 1776, che contiene una dettagliata descrizione delle collezioni. Gli strumenti, tra cui quelli di fisica, meccanica, meteorologia e astronomia, erano destinati sia alla descrizione e alla misurazione, sia alla realizzazione di esperimenti sul mondo naturale. Gli oggetti naturalistici – toscani ma non solo – comprendevano minerali, fossili, animali, esemplari mostruosi, fiori e piante. Inoltre, alcune specie botaniche non possedute erano riprodotte con modelli in cera, per evidenti finalità educative. Rivelatrice dell’ispirazione del Museo era la pratica di classificare i reperti secondo il metodo linneano, ma affiancato dall’indicazione degli usi medici o chimici delle piante. Infine, sei stanze contenevano una raccolta di cere che avrebbe permesso lo studio dell’anatomia umana anche senza la dissezione dei cadaveri. Grazie all’opera di Fontana e di alcuni assistenti – come Clemente Susini – il Museo poteva mostrare al pubblico riproduzioni della muscolatura, dell’apparato scheletrico e di vari organi, realizzate con una particolare attenzione all’estetica e all’impatto sul visitatore. La ricca sezione antropologica rifletteva la circolazione delle idee illuministiche e una visione dell’anatomia come scienza decisiva per lo studio dell’uomo. Ma, ancora una volta, rispondeva anche all’esigenza didattica che era stata una delle fondamenta della creazione del Museo.