Quelli successivi al viaggio di Fontana a Parigi e Londra furono anni di espansione e consolidamento per il Museo di fisica e storia naturale. L’accrescimento delle collezioni naturalistiche e di cere anatomiche ricevette un notevole impulso – anche grazie alla collaborazione dell’anatomista Paolo Mascagni – e Fontana si adoperò per l’effettiva operatività della specola. Al contrario, il suo progetto di creazione di un’Accademia delle scienze collegata al Museo non riuscì mai a concretizzarsi.
Il processo di rinnovamento amministrativo promosso dal granduca Pietro Leopoldo ebbe effetti anche sul Regio Museo, con un aumento dei carichi burocratici assegnati al direttore. Fontana oppose ripetute resistenze a questi impegni, che l’avrebbero sottratto al lavoro scientifico e alla ricerca sperimentale, e fu dunque Giovanni Fabbroni ad acquisire un ruolo sempre più centrale come funzionario all’interno dell’istituzione.
Dopo il viaggio con Fontana, Fabbroni aveva stretto contatti con molti esponenti della scienza europea, specialmente britannici e scandinavi. Oltre a contribuire all’aggiornamento teorico, questi scambi permisero di acquisire strumenti e tecnologie minerarie, chimiche e agrarie, capaci di connettere il Museo con il contesto economico toscano. La posizione di Fabbroni nella gestione amministrativa si accompagnava quindi a un’autonomia crescente anche sul piano scientifico, che lo portò a scontrarsi con Fontana sull’impostazione da dare al Museo. Il naturalista trentino, infatti, lo considerava un luogo di libera sperimentazione e faticava ad assoggettarsi alla burocrazia ma anche alla gestione dei dipendenti, con i quali i rapporti erano ormai improntati al disprezzo e alle calunnie reciproche. Inoltre, il desiderio di ampliare il Museo lo spingeva a progettare di continuo ristrutturazioni o traslochi in nuove sedi, che irritavano la corte fiorentina.
Se Fontana vedeva le pratiche amministrative come un impedimento temporaneo di cui liberarsi al più presto, Fabbroni si dimostrò al contrario pronto ad assumersi il compito di una gestione rigorosa e consapevole e a progettare gli interventi del Museo sul territorio. Nell’estate del 1788, il vicedirettore fu incaricato di redigere un documento sull’organizzazione economica del Museo e dei suoi dipendenti. Le proposte che conteneva furono accettate e di conseguenza, nel corso dell’anno successivo, la posizione di Fabbroni come responsabile amministrativo si rafforzò ulteriormente, rendendolo l’affidabile interprete delle politiche granducali, al quale anche Fontana doveva fare riferimento. Nel novembre 1789 il sovrano nominò Fabbroni sovrintendente economico del Museo, con un motuproprio che esautorava Fontana dalle funzioni amministrative ma, soprattutto, lo assoggettava al controllo del suo vice. La decisione era segno dell’insoddisfazione del granduca, che infatti in seguito ricordò Fontana per le sue qualità scientifiche, ma anche per la sua incapacità di gestire i rapporti personali e l’organizzazione amministrativa.
Nel 1790, Pietro Leopoldo lasciò Firenze per diventare imperatore a Vienna. Fontana tentò di ottenere un incontro con lui durante una sua visita nella città toscana, ma senza successo. Decise quindi di difendersi attraverso una memoria, nella quale elencava le rivalità, i conflitti e i nemici che si erano opposti al suo operato, primo fra tutti Fabbroni. Si tratta di una testimonianza del suo rancore, in cui la rivendicazione dell’operato per la nascita e lo sviluppo del Regio Museo si accompagna ad accuse personali, senza però indagare le vere cause delle decisioni in favore dello scienziato toscano. Il rinnovamento apportato da Fontana alla figura del naturalista di corte e alle concezioni museali – rivolte all’enciclopedismo, alla sperimentazione e all’utilità pubblica – si risolsero dunque in un fallimento. I progetti di intervento sul territorio non furono mai realizzati, non si riuscì a creare un nucleo di artigiani esperti nella costruzione di strumenti, né un gruppo di fisici e naturalisti capaci di assicurare il futuro del Museo.
Negli anni successivi, la partecipazione di Fontana alla vita dell’istituzione andò rarefacendosi, mentre il suo impegno si rivolgeva alla realizzazione delle anatomie in legno. La delusione e l’amarezza nate dalle vicende di quegli anni e dal rapporto con Fabbroni lo portarono all’adesione agli ideali repubblicani e al regime francese, che gli diede la speranza di poter riprendere un ruolo direttivo e di fondare un’accademia. Ma, svanite queste illusioni, Fontana si trovò definitivamente privato del controllo sul Museo.